Nell’anno in cui ricorre il centenario dalla nascita di Vasco Bendini, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea offre al pubblico l’occasione di riscoprire la multiforme produzione dell’artista, infaticabile nell’alimentare una ricerca poliedrica che vede l’uso di tecniche e materiali differenti: carta di giornale, tela, lana di vetro, cartoni, gommapiuma, resine, candele consumate, neon e plastiche.
Vasco Bendini è un protagonista dell’Informale e, sia pure per un brevissimo periodo, si è reso sensibile al clima culturale e a modalità divenute distintive dell’Arte Povera pur non avendone mai fatto parte. La mostra VASCO BENDINI. OMBRE PRIME, a cura di Bruno Corà, espone una selezione di opere che vanno dagli anni Cinquanta agli anni Duemila, testimoniando quanto intensa sia stata l’attività del pittore anche negli ultimi anni della sua lunga vita.
Vasco Bendini (Bologna 1922 – Roma 2015) è l’esponente di un percorso artistico che lo vede sovente come anticipatore di tecniche e di linguaggi. Il suo è un itinerario discontinuo, ma questa apparente mancanza di linearità in realtà mostra un’intima coerenza nel rivelare a se stesso e al fruitore la segreta essenza dell’io e della materia. Tra il 1941 ed il 1942 Vasco Bendini frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ha come maestri Giorgio Morandi e Virgilio Guidi. È dalla loro lezione che l’artista muove i primi passi nella direzione di una pittura che potremmo definire metafisica, ma l’elemento figurativo diventerà sempre più astratto già dal 1948, con la tagliente incisività di un gesto consapevole che, nella sua essenzialità, vuole arrivare alla struttura portante e universale dell’io. Nascono i volti, le teste, quelle che Arcangeli chiamava le “veroniche” e Vasco Bendini definiva “segni segreti”.
L’artista legge testi sulle pratiche di meditazione zen, ma anche Il caso e la necessità di Jacques Monod e Dall’essere al divenire di Ilya Prigogine, premi Nobel rispettivamente per la Chimica e per la Fisiologia e la Medicina, ricavandone la convinzione che la materia non sia altro che una traccia illusoria di composti mobili, fatti di onde e particelle. Da qui nascono sulla tela, fin dalla metà degli anni Cinquanta, figure che si svelano o si dissolvono in una luce incerta, corpi sempre più smaterializzati e fluttuanti che si possono ammirare in alcune opere in mostra.
Negli anni Sessanta e Settanta, dopo la partecipazione alla XXXII e alla XXXVI Biennale di Venezia con una sala personale, rispettivamente nel 1964 e nel 1972, l’artista cerca, di indagare la vibrante oscurità della materia per coglierne lo svelarsi progressivo della luce. Nasce la serie Senso operante a metà degli anni Sessanta, presente in mostra con le opere Mille e una notte (1968) e Una delle duemila parole (1968).
Negli anni Ottanta e Novanta Bendini fa ritorno alla pittura. Nascono opere di grandi dimensioni come le carte incollate su tela, appese alla parete come arazzi (Segni come sogni oppure Ipotesi d’attesa del 1990) e avvia, negli anni Duemila a Parma, una felice stagione di pittura informale, meglio definita dall’artista come Realismo organico. Una vera sintesi della grande esperienza pittorica, maturata negli anni, e dell’incessante ricerca di un’identità universale riconosciuta nello stesso disporsi organico della materia.
Per la mostra è in preparazione un catalogo con un saggio critico del curatore Bruno Corà e due contributi dovuti a Catherine David, insigne studiosa francese, e a Irene Santori, vice presidente Archivio Bendini. Nella pubblicazione sono incluse inoltre tutte le immagini delle opere in mostra, alcuni scritti inediti di Vasco Bendini, un’antologia critica selezionata e negli apparati una biobibliografia dell’artista,
Un documentario realizzato da Matteo Frittelli racconta il percorso artistico di Vasco Bendini, attraverso le testimonianze di critici, collezionisti, amici e un’intervista al Maestro.