100 scatti, un mondo. Da Berlino alla Cina, passando per Mosca, New York, Bangkok e Napoli. Finalmente la mostra che restituisce un gigante del reportage fotografico.
Si poteva incontrare alle due di notte in un night club di Berlino Est, in piena Guerra fredda, mentre sorseggiava champagne sovietico, o in un’assolata via di Madrid a mangiare gamberetti e a studiare volti e gesti dei passanti. Taciturno e silenzioso come un gatto sornione pronto a “scattare” – così lo definiva lo scrittore, e fotografo, Ermanno Rea –, a chi gli chiedeva perché usasse un’attrezzatura così elementare (una fotocamera Leica e qualche obiettivo in più), Caio Mario Garrubba rispondeva che le fotografie “si fanno con la testa e non con le macchine”. A un’antipatia a pelle per i potenti, che cercava di riprendere nei momenti più “fetenti”, come lui stesso racconta, faceva corrispondere una passione incondizionata per le persone che incontrava per strada, che sono diventati nelle sue immagini i soggetti straordinari di uno dei più profondi sguardi fotografici del secondo Novecento. Per la prima volta una grande mostra rivela nella sua completezza il talento di uno degli autori più importanti del fotogiornalismo italiano ed europeo, grazie all’acquisizione da parte dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce dell’intero archivio del fotografo oggi scomparso (60.000 negativi e 40.000 diapositive, oltre a un gran numero di stampe vintage, appunti e provini).
Lontano. Caio Mario Garrubba. Fotografie è il titolo dell’esposizione ospitata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, curata da Gabriele D’Autilia ed Enrico Menduni, organizzata e promossa da Istituto Luce-Cinecittà e aperta al pubblico dal 16 aprile al 2 giugno 2019. 100 scatti, in gran parte inediti, per (ri)scoprire lo sguardo, i viaggi e gli itinerari umani di un autore ancora troppo poco conosciuto in Italia, stimato a livello internazionale come un autentico maestro.
Cosmopolita per scelta, fotoreporter indipendente tra i primi a varcare la cortina di ferro e a raccontarla al mondo occidentale, la mostra vuole mettere in luce quella tenace e responsabile volontà di documentare che ha caratterizzato la produzione di un reporter al quale poco interessavano gli eventi con la e maiuscola e meno ancora la miseria o le guerre, soggetto privilegiato dei reporter di ieri e di oggi.
Lontano mostra in un percorso espositivo fluido, internamente ritmato, in 100 splendidi scatti prevalentemente in bianco e nero con una preziosa, sorprendente appendice dedicata al colore, i tanti altrove di questo viaggiatore partecipe. Le foto portano nel titolo questo semplice passaporto, ‘Mosca 1957’, ‘Cina 1959’, ‘Berlino 1961’ (lo scatto ammutolito di un uomo dietro il Muro che si sta costruendo), ‘Cecoslovacchia anni sessanta’ (un ottovolante che dice con poetica evidenza quanto sta per scoppiare politicamente nel paese) e così viaggiando con gli occhi. Il campo di Garrubba è la vita vera còlta di sorpresa, non posata. Ci sono fiere paesane, molti bellissimi balli, ci sono baci. Ci sono pose rubate, ed è lì che il fotografo coglie lo spirito di una vita, e di un’epoca. Può essere la mano su un cappello, un profilo distratto, le spalle ad altezza di fondoschiena di Mao e Chruščëv (una foto, come nota il curatore Enrico Menduni, da cacciata immediata per un ‘fotografo del comunismo’), il sorriso appannato di John Kennedy o la noia sorniona di Nixon accanto a JFK; l’espressione importunata del dittatore polacco Jaruzelski. Uno sguardo di uomo freddo ma vivo davanti al mausoleo di Stalin. I bambini ipnotici di Ulan Bator, l’abbraccio di due vecchi compagni napoletani. Sono momenti in cui tutti, gente comune e uomini di potere non comune, si trova in libertà. Còlta di sorpresa, con la divisa della propria rappresentanza a riposo. Sono donne e uomini liberi e distratti, e Garrubba in questo disimpegno ne rivela semplicemente, e con il riserbo del maestro, l’animo.
La mostra ci restituisce così un atlante, di ‘anni interessanti’ quelli dai ’50 ai ’70, dall’Europa all’Asia a New York, in un tempo disseminato di muri che si alzavano (Berlino, la Cortina di ferro, la Guerra Fredda), di mondi in conflitto (la Russia comunista e gli Stati Uniti), di tradizioni gelose e chiuse (la Cina, il Tibet, le Chiese d’Italia, di Polonia, dei monasteri buddhisti; la chiesa del comunismo; la stessa Napoli dei vicoli). Stupisce quanto quello sia il nostro mondo di oggi. E stupisce quanto queste latitudini così diverse si rassomiglino, e tutti i soggetti di Garrubba, sprofondati nel vortice della Storia di un secolo di divisioni, violenza, guerre, siano tutti così profondamente umani.
Allora si capisce quanto questo uomo profondamente napoletano e di mondo, abbia tessuto in oltre cinquant’anni di lavoro dietro la macchina, l’atlante fotografico di una geografia umana del Novecento. E come sottolinea il curatore Gabriele D’Autilia ‘Sono le personalità come Garrubba, capaci di attraversare i confini, sia quelli materiali che quelli mentali, ad averci insegnato ‘l’arte della fotografia’.
Il percorso di Lontano è impreziosito dalla presenza di materiali originali del ‘laboratorio’ di Garrubba, a cominciare dai provini originali tagliati, dei negativi, e una raccolta di pensieri dai testi e appunti di Caio Mario sul mestiere del fotografo. Inoltre una raccolta di riviste internazionali, tra le più autorevoli, che negli anni hanno dedicato copertine e articoli al suo lavoro.
Chiude il percorso un documento toccante e molto significativo. Un corto documentario prodotto da Luce-Cinecittà, diretto e montato da Niccolò Palomba, con un’intervista a Alla Folomietova Garrubba, la moglie e collaboratrice fondamentale di una vita, scomparsa nel Gennaio di quest’anno, che al termine della mostra ci racconta il profilo umano, insieme a quello del fotografo, di Garrubba.
Caio Mario Garrubba (Napoli, 1923 – Spoleto, 2015) legato a quella cultura di sinistra che vide nell’Unione sovietica e nei paesi del socialismo reale una promessa e una speranza, seppe fotografare questa realtà sempre con un occhio disincantato, ma costantemente partecipe delle persone e del fattore umano. Da qui una fotografia che non è testimonianza oculare della Storia di un secolo, ma dell’umanità e della vitalità che l’hanno mossa. A partire da un viaggio nel ’53 nella Spagna franchista, il percorso fotografico di Garrubba - e della mostra - ci porta nella religiosa Polonia comunista (dove incontra quella che diventerà la sua amatissima compagna, Alla Folomietova), nella Cina “lontana” (famoso è il suo scatto di Chruščëv ritratto di spalle accanto a Mao Zedong) e nella fredda e cupa Unione Sovietica post-staliniana. Ma anche a Napoli e nella terra d’origine dei suoi genitori, la Calabria, nonché in Brasile, a Thaiti, negli Stati Uniti, e in Francia, dove incontrò Henri Cartier-Bresson, il più noto estimatore del suo lavoro, con il quale condivideva non solo l’amore per la Leica – la fotocamera “storica” del reportage internazionale – ma anche quello per l’arte, fondamento di un'"educazione visiva” che lo accompagnerà in ogni suo scatto.
Accompagna la mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, un catalogo edito da Contrasto e Istituto Luce-Cinecittà, con tutte le fotografie in esposizione, corredato dai saggi dei curatori Gabriele D’Autilia e Enrico Menduni, che tracciano il profilo etico ed estetico del reporter Garrubba e lo inquadrano nella sua definitiva collocazione internazionale, a fianco dell’amico Cartier Bresson, e dei grandi fotografi americani di Magnum, di un’estetica mitteleuropea che il fotografo studiava con attenzione. Oggi è la fotografia europea a tenere Garrubba tra i testi da studiare e capire. Completa il volume un ricordo di Maria Gabriella Macchiarulo dedicato ad Alla Folomietova Garrubba, moglie di Caio Mario e fondamentale collaboratrice di una vita.