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Ercole, indossata la camicia avvelenata dal sangue di Nesso portata dall’ignaro Lica, impazzisce e scaglia il giovinetto nel mare: soggetto derivato dalla tragedia greca e dalle Metamorfosi di Ovidio.

Il gruppo marmoreo, commissionato nel 1795 a Napoli dal duca di Miranda ebbe una lunga gestazione e fu acquistato nel 1801 dal banchiere Giovanni Torlonia per il proprio palazzo in Piazza Venezia. Demolito quell’edificio, fu trasferito nel 1907 a Palazzo Corsini, quindi nell’attuale sede della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

Con Ercole e Lica Canova esprime pienamente il senso del Sublime teorizzato nel Settecento da Edmund Burke: visualizzare in un’opera d’arte «tutto ciò che può destare idea di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in certo senso terribile». Sorprende la scelta di applicarsi a un soggetto incentrato sulla follia, già concepito nel 1790, ma l’artista percepisce subito che si preparavano tempi di sovversione dell’ordine costituito.

L’opera fu oggetto di opposte interpretazioni in chiave politica: per i francesi invasori di Roma nel 1798, la monarchia scagliata dalla Rivoluzione. Per Canova, invece, il significato poteva essere tranquillamente capovolto: la “democrazia” o la “licenziosa liberta” abbattuta dalla “forza sovrana”.

Qui l’opera è rievocata attraverso incisioni, fatte fare dallo stesso Canova, una piccola replica in bronzo del Museo dell’Ermitage e una tela del Museo di Roma con Canova che presenta il disegno del gruppo alla famiglia Torlonia.

 
Palazzo Braschi