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Le piazze d’Italia. La metafisica ai tempi del Coronavirus
di Paolo Picozza


 

Nel 1910 Giorgio de Chirico dipinge, trasposta da una epifanica visione “yper-reale”, la sua prima piazza d’Italia: L’enigma di un pomeriggio d’autunno. Il Maestro in uno stato di alterazione sensoriale, dovuto alla sua condizione di salute cagionevole, esegue la sua rappresentazione di piazza Santa Croce a Firenze, con cui restituisce una personale interpretazione del giovane Stato italiano.

L’intrisa malinconia, rimarcata dai colori freddi e dalle campiture piatte e uniformi delle prime piazze d’Italia, si evolverà nella metamorfosi giocosa, contraddistinta da colori più accesi e da stesure sfumate delle opere di epoca Neometafisica (1968-1976). Una figurazione perlopiù desolata di una scena consueta che caratterizzerà tutte le piazze d’Italia prodotte dall’artista, abitate da pochi personaggi e da monumenti di uomini politici come Cavour, grande protagonista dell’Unità d’Italia.

L’attuale emergenza sanitaria ci spinge a riappropriarci di quella coesione di spiriti che ispirò gli artefici dell’Unità d’Italia e che oggi ci pone davanti a una realtà quasi paradossale che evoca lo straniamento e l’atmosfera spettrale delle piazze dechirichiane.

Fermi e sbigottiti siamo davanti a queste piazze vuote che esprimono la “tragedia della serenità” a cui oggi siamo chiamati a resistere.

Con l’auspicio che l’essere umano venga ispirato da questo periodo di difficoltà, cerchi “l’occhio in ogni cosa” e che “per le case, le vie, le piazze, i monumenti di Torino, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna, di Firenze, e giù, giù, fino alla punta estrema dello stivalone ermetico […]” possa riappropriarsi, con lo stesso sguardo di un pittore, della bellezza e della poesia che lo circonda.
Paolo Picozza

 

Giorgio de Chirico, La torre il treno, 1934
Giorgio de Chirico, La torredel silenzio, 1937
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea

 

Speranze

Gli astronomi poetanti sono molto allegri.
La giornata è radiosa la piazza piena di sole.
Alla veranda si sono affacciati.
Musica e amore. La dama ahimè troppo bella
Io vorrei morire per i suoi occhi di velluto.
Un pittore ha dipinto un’enorme ciminiera rossa
Che un poeta adora come una divinità.

Ho rivisto quella notte di primavera e cadaveri
Il fiume trascinava tombe che non sono più.
Chi vuole ancora vivere? Le promesse sono più belle.

Hanno issato tante bandiere sulla stazione
A patto che l’orologio non si fermi
Deve arrivare un ministro.
Egli è intelligente e dolce sorride
Capisce tutto e di notte
Alla luce di una lampada fumante
Mentre il guerriero di pietra dorme
Sulla piazza buia
Scrive lettere d’amore tristi e ardenti.
Dai “Manoscritti Eluard” (1911-1915)
su suggerimento di Paolo Picozza