Le piazze d’Italia di de Chirico e le città del silenzio
di Valeria Lupo
Le piazze disegnate da de Chirico sono luoghi metafisici in cui il tempo è sospeso e lo spazio dilatato segnato da lunghe ombre nere, che si contrappongono alla luce intensa e immobile dell’intera scena. Le piazze d’Italia sono concepite come unità compositive minime, luoghi dell’assenza in cui de Chirico, con una inquadratura fotografica fissa, costruisce nature morte urbane in cui saltano le scale di misura. Attraverso la prospettiva de Chirico inquadra in uno spazio unitario i frammenti del passato e le visioni del futuro. Due orizzonti paralleli che, in un eterno ritorno dell’uguale, compongono spazi archetipi trascendenti che diventano quinte teatrali dove mettere in scena, in un insieme dissonante, costruzioni architettoniche e geometriche.
De Chirico immagina vedute di città antiche che si sovrappongono a visioni di città moderne riprese da luoghi di vita vissuta prima Atene e Costantinopoli poi Monaco di Baviera, Milano, Firenze, Torino, Parigi, Ferrara, New York, Venezia, Roma. Sono luoghi in cui lo spazio pubblico disabitato dall’uomo viene popolato da oggetti – frammenti, rovine, archi, portici, angoli di strade, muri, edifici, torri, ciminiere, treni, statue, manichini – che estraniati dal loro abituale contesto emergono con tutta la loro forza iconica diventando irreali, misteriosi, enigmatici. Questi paesaggi metafisici, riconoscibili nei nuovi episodi urbani del ‘900 come i progetti milanesi di Giovanni Muzio, prenderanno forma nella realtà delle nuove città di fondazione, come quelle pontine e il quartiere per l’E42 di Roma. Città che, all’opposto delle utopie futuriste, sono “città silenziose” caratterizzate da una classicità assoluta al di fuori del tempo che diventano scenari della vita contemporanea, in cui l’atmosfera sospesa crea l’attesa inquietante di un avvenire impensabile, producendo un sentimento di continuo spaesamento.