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La piazza dell’architetto e dell’artista
di Massimo Licoccia


 

La piazza per un architetto è lo spazio urbano per eccellenza.

Pensata e rappresentata nelle forme e nei contenuti più diversi ma con paradigma atemporale identificabile nella volontà di celebrare, in quel luogo simbolo, l’arte, la bellezza, il potere e, in generale, la società di un determinato periodo.

La piazza può dunque essere un luogo carico di positività o, al contrario, concepito per intimidire ma, persino nelle esercitazioni utopistiche delle città ideali, sempre concatenato al suo tempo o, al limite, al tempo del divenire.

Nulla di più distante dalla piazza dechirichiana: contemporaneamente reale e irreale, destrutturata temporalmente e in parte spazialmente, stilizzata nell’insieme ma con dettagli intrisi di particolari, pregna di citazioni architettoniche riportate però senza rigore di ubicazione o di visuale prospettica.

Osservando le piazze di De Chirico prevale un sentimento tragico e nostalgico. Nostalgia non della piazza in sé e delle sue eventuali perdute forme, ma della mancanza di eternità dell’uomo a cui non è concesso di osservare le trasformazioni nel tempo dello spazio. Non solo all’uomo è concesso un tempo determinato ma persino allo stesso spazio che, mutando in successive stratigraficazioni, non consegna al contemporaneo e alla storia una visione definitiva.

In fondo è lo stesso De Chirico che denuncia l’impossibilità di controllo sul tempo, davvero out of joint, con la notissima discrasia tra i tanti orologi asincroni  rispetto allo spazio- tempo segnato e disegnato dalle ombre lunghe degli edifici, tempo, oserei dire inevitabilmente, al tramonto.