Il Fondo Umberto Prencipe
I carteggi di un’artista devoto alla bellezza della natura e alla memoria dell’uomo, sempre diviso tra incisione e pittura
La Galleria Nazionale conserva il fondo d’archivio di Umberto Prencipe (Napoli, 1879- Roma, 1962), pittore e incisore estremamente attivo durante tutto l’arco della sua vita. La sua ininterrotta dedizione al paesaggio, e in particolare al vedutismo con la presenza di elementi architettonici, è intimamente connessa alla personalità solitaria e riflessiva che lo contraddistingue, con una forma di sensibilità che lo avvicina alle tendenze crepuscolari e simboliste del primo Novecento, per poi seguire un personalissimo intento di fedeltà al paesaggio, volto a unire tradizione e spinte avanguardistiche secondo l’ispirazione di Cézanne.
L’inclinazione alla solitudine non scalfisce la ricchezza delle relazioni che Prencipe intrattiene con l’ambiente artistico e culturale, non solo romano, e le numerose iniziative di cui si fa promotore, come la fondazione del Gruppo Romano Incisori Artisti o del Collegio Orvietano delle Arti, oltre ad un’intensa attività espositiva. Il ricco patrimonio documentaristico del fondo d’archivio ne è la piena testimonianza. Nel corso di una vita, l’artista ha intrattenuto corrispondenze con moltissime persone (un numero di ben 637 corrispondenti), tra cui numerosi personaggi di spicco della prima metà del Novecento, varie istituzioni culturali quali accademie di belle arti italiane e straniere, gallerie, circoli di artisti, enti locali, oltre ovviamente ai familiari.
Il fondo si può suddividere idealmente in tre principali filoni documentari, fondamentali per ricostruire la figura dell’artista, oggi spesso dimenticata, ma anche per tratteggiare un pezzo di storia della società dell’epoca e, in particolare, del panorama artistico-culturale italiano durante il lungo periodo di attività di Prencipe. Scambi di idee, confronti su questioni artistiche e rapporti interpersonali affiorano dall’epistolario, il patrimonio più cospicuo.
Napoletano di nascita, sin dall’infanzia vive continui trasferimenti a causa del lavoro del padre, direttore di case penali, ambienti che in qualche modo lo toccano profondamente, fino a sviluppare un’inquietudine e una malinconia che si riflettono nella sua produzione artistica, spazio di ricerca di una personale corrispondenza tra paesaggio e vita interiore.
Gli anni giovanili trascorsi a Roma frequentando l’Accademia di belle arti sono quelli in cui inizia a padroneggiare da autodidatta la tecnica dell’incisione, di cui diventerà un esponente di livello altissimo. Ma ben presto inizia ad attirare l’interesse dei suoi contemporanei attraverso la sua pittura, come riporta nella propria autobiografia: il dipinto Clausura (1904), realizzato a venticinque anni e decisivo per la sua carriera, viene notato e apprezzato tra gli altri, anche da Umberto Boccioni, che portava regolarmente comitive di amici ad ammirarlo, e "ad alta voce fare le lodi del quadro”, e grazie al quale iniziò a essere introdotto negli ambienti intellettuali romani. L’opera fu acquistata dalla Galleria Nazionale nel 1905 ed è tuttora esposta in Time is Out of Joint, proprio accanto a un’opera dello stesso Boccioni (Stati d’animo – Quelli che vanno, 1911). Prencipe scrive, a proposito dell’opera dipinta nelle campagne di Narni in pieno luglio: “il ricordo di tanta luminosità goduta mi trasportava nel mio mondo fantastico e contemplativo che anche negli anni seguenti mi fece produrre una lunga serie di quadri ove quest’emozione quasi sovrastava il costrutto pittorico” (dai Ricordi autobiografici pubblicati nella monografia di Sabrina Spinazzè).
Oltre all’amicizia con Boccioni, sono molte le relazioni e i rapporti di stima o di lavoro che si leggono tra le carte dell’intera corrispondenza che Prencipe intrattenne con personaggi celebri, artisti e critici, ma anche mercanti d’arte, politici, organizzatori e promotori di premi, esposizioni e biennali d’arte. Spiccano i nomi di Giacomo Balla, Amalia Besso (che lo invita eccezionalmente ad esporre nel circolo femminile Lyceum di Roma), Duillio Cambelllotti, Arduino Colasanti, Adolfo De Carolis, Antonio De Witt, Ferruccio Ferrazzi, Vittorio Grassi, Antonio Maraini, Filippo Tommaso Marinetti, Federico Hermanin, Ugo Ojetti (con cui instaura una stretta e lunga amicizia), Carlo Alberto Petrucci, Roberto Papini, Piero Scarpa, le sorelle Elsa e Bice Schiaparelli, per citarne soltanto alcuni. Inoltre, compaiono i nomi di figure come la regina Margherita di Savoia e Maria José, i principi Boncompagni Ludovisi e la principessa Pallavicini.
Dai fitti carteggi del periodo compreso tra gli anni Dieci e gli anni Quaranta, emerge una realtà di rapporti di stima e amicizia di un artista in stretta connessione con le espressioni culturali e artistiche del suo tempo, come il Futurismo, la Secessione Romana, la pittura metafisica e l’astrattismo, il panorama della calcografia internazionale, costantemente aggiornato sulle tendenze contemporanee per subirne a tratti l’influenza ma anche per discostarsene e ribadire le proprie scelte in campo artistico. È un panorama vivacissimo di rapporti di solidarietà tra artisti, ma anche tra artisti e critici, che tengono informato Prencipe durante i periodi lontani da Roma, si impegnano per sostenere il suo lavoro attraverso esposizioni e riconoscimenti, lo consigliano, intrecciano confronti sinceri e scambi di opere.
Questa forma di carteggi si fa invece più rarefatta dopo gli anni Quaranta, parallelamente a quanto avviene con l’attività espositiva, mentre Prencipe intensifica il lavoro ad incisione a fronte di una pittura più concentrata su nature morte. Inizia un periodo vissuto più in disparte, che risente dell’affermarsi delle correnti astrattiste e del minore spazio per un’arte di carattere figurativo. Il sentimento di incomprensione e il relativo ripiegamento in una dimensione più intima sono documentate dalle lettere di questo periodo ad amici e familiari.
Le ultime lettere del fondo offrono l’immagine dell’anziano studioso che non rinuncia mai a mettere il suo sapere a disposizione degli amici e dei colleghi più giovani.
In una lettera Hermanin, l’amico di una vita, lo ritrae così partendo proprio dall’opera Clausura: “Ricordo, come fosse ieri, eppure sono passati molti anni, quando fra i dipinti (…) nelle sale della Galleria Nazionale d’arte moderna a Roma il mio sguardo si fermò su di un quadro di paesaggio, dove era dipinto un muro bianco con al di là un folto di alberi e al di qua un prato leggermente arso dal sole, ma si rifletteva pallido nel bianco del muro. (…) Sentii di essere di fronte all’opera di un artista squisito ed eccezionale per finissima sensibilità. Il quadro era di un allora giovane pittore napoletano, Umberto Prencipe. Eravamo nell’anno 1909 ed io, invitato dalla grande rivista Zeitschrift für bildende Kunst a scrivere di qualche giovane artista italiano, fra i migliori scelsi di parlare del pittore del muro misterioso, ch’era un giovane pallido dal volto pensoso, dallo sguardo placido ma sempre un poco triste e come perduto in fantasie intessute di malinconia. Tale egli è rimasto durante tutta la sua vita, sempre innamorato di bellezze naturali vivificate da ricordi di vicende umane (…) ed in tutto la voce di un grande spirito poetico”.
Una seconda e consistente parte del fondo è composta da carte e documenti riguardanti la sua intensa attività artistica e lavorativa: le partecipazioni all’Esposizione Internazionale del 1911, alle Biennali di Venezia e di Roma, alla Quadriennale del 1935, le numerosissime mostre collettive e personali, tenute in diversi paesi europei e nel mondo, i tanti premi ricevuti, le lettere relative ad incarichi e cattedre di insegnamento, che ne testimoniano la costante produzione artistica nonché il riconoscimento su territorio nazionale e internazionale, come la nomina a membro dell’Accademia di San Luca.
Un’ulteriore serie contiene i suoi documenti personali, gli attestati, i cataloghi, qualche ricordo familiare, e ancora ricevute, poesie, vari articoli di rassegna stampa. Interessanti le citazioni letterarie e le sue riflessioni sull’arte affidate a biglietti, come queste parole: “Vi è un limite sottile, oltre il quale l’uomo deve staccarsi dal sogno e dal gioco, per procedere in una terra ignota che non sopporta nessuna compagnia. Là l’aria è limpida e gelida come sul ghiacciaio, e là si creano le opere che sopravvivono al nome dell’uomo. La solitudine non è soltanto una parola poetica, è una risoluzione, e non ritorna più una volta respinta”.
I carteggi di un’artista devoto alla bellezza della natura e alla memoria dell’uomo, sempre diviso tra incisione e pittura
La Galleria Nazionale conserva il fondo d’archivio di Umberto Prencipe (Napoli, 1879- Roma, 1962), pittore e incisore estremamente attivo durante tutto l’arco della sua vita. La sua ininterrotta dedizione al paesaggio, e in particolare al vedutismo con la presenza di elementi architettonici, è intimamente connessa alla personalità solitaria e riflessiva che lo contraddistingue, con una forma di sensibilità che lo avvicina alle tendenze crepuscolari e simboliste del primo Novecento, per poi seguire un personalissimo intento di fedeltà al paesaggio, volto a unire tradizione e spinte avanguardistiche secondo l’ispirazione di Cézanne.
L’inclinazione alla solitudine non scalfisce la ricchezza delle relazioni che Prencipe intrattiene con l’ambiente artistico e culturale, non solo romano, e le numerose iniziative di cui si fa promotore, come la fondazione del Gruppo Romano Incisori Artisti o del Collegio Orvietano delle Arti, oltre ad un’intensa attività espositiva. Il ricco patrimonio documentaristico del fondo d’archivio ne è la piena testimonianza. Nel corso di una vita, l’artista ha intrattenuto corrispondenze con moltissime persone (un numero di ben 637 corrispondenti), tra cui numerosi personaggi di spicco della prima metà del Novecento, varie istituzioni culturali quali accademie di belle arti italiane e straniere, gallerie, circoli di artisti, enti locali, oltre ovviamente ai familiari.
Il fondo si può suddividere idealmente in tre principali filoni documentari, fondamentali per ricostruire la figura dell’artista, oggi spesso dimenticata, ma anche per tratteggiare un pezzo di storia della società dell’epoca e, in particolare, del panorama artistico-culturale italiano durante il lungo periodo di attività di Prencipe. Scambi di idee, confronti su questioni artistiche e rapporti interpersonali affiorano dall’epistolario, il patrimonio più cospicuo.
Napoletano di nascita, sin dall’infanzia vive continui trasferimenti a causa del lavoro del padre, direttore di case penali, ambienti che in qualche modo lo toccano profondamente, fino a sviluppare un’inquietudine e una malinconia che si riflettono nella sua produzione artistica, spazio di ricerca di una personale corrispondenza tra paesaggio e vita interiore.
Gli anni giovanili trascorsi a Roma frequentando l’Accademia di belle arti sono quelli in cui inizia a padroneggiare da autodidatta la tecnica dell’incisione, di cui diventerà un esponente di livello altissimo. Ma ben presto inizia ad attirare l’interesse dei suoi contemporanei attraverso la sua pittura, come riporta nella propria autobiografia: il dipinto Clausura (1904), realizzato a venticinque anni e decisivo per la sua carriera, viene notato e apprezzato tra gli altri, anche da Umberto Boccioni, che portava regolarmente comitive di amici ad ammirarlo, e "ad alta voce fare le lodi del quadro”, e grazie al quale iniziò a essere introdotto negli ambienti intellettuali romani. L’opera fu acquistata dalla Galleria Nazionale nel 1905 ed è tuttora esposta in Time is Out of Joint, proprio accanto a un’opera dello stesso Boccioni (Stati d’animo – Quelli che vanno, 1911). Prencipe scrive, a proposito dell’opera dipinta nelle campagne di Narni in pieno luglio: “il ricordo di tanta luminosità goduta mi trasportava nel mio mondo fantastico e contemplativo che anche negli anni seguenti mi fece produrre una lunga serie di quadri ove quest’emozione quasi sovrastava il costrutto pittorico” (dai Ricordi autobiografici pubblicati nella monografia di Sabrina Spinazzè).
Umberto Prencipe, Clausura, 1909
Oltre all’amicizia con Boccioni, sono molte le relazioni e i rapporti di stima o di lavoro che si leggono tra le carte dell’intera corrispondenza che Prencipe intrattenne con personaggi celebri, artisti e critici, ma anche mercanti d’arte, politici, organizzatori e promotori di premi, esposizioni e biennali d’arte. Spiccano i nomi di Giacomo Balla, Amalia Besso (che lo invita eccezionalmente ad esporre nel circolo femminile Lyceum di Roma), Duillio Cambelllotti, Arduino Colasanti, Adolfo De Carolis, Antonio De Witt, Ferruccio Ferrazzi, Vittorio Grassi, Antonio Maraini, Filippo Tommaso Marinetti, Federico Hermanin, Ugo Ojetti (con cui instaura una stretta e lunga amicizia), Carlo Alberto Petrucci, Roberto Papini, Piero Scarpa, le sorelle Elsa e Bice Schiaparelli, per citarne soltanto alcuni. Inoltre, compaiono i nomi di figure come la regina Margherita di Savoia e Maria José, i principi Boncompagni Ludovisi e la principessa Pallavicini.
Dai fitti carteggi del periodo compreso tra gli anni Dieci e gli anni Quaranta, emerge una realtà di rapporti di stima e amicizia di un artista in stretta connessione con le espressioni culturali e artistiche del suo tempo, come il Futurismo, la Secessione Romana, la pittura metafisica e l’astrattismo, il panorama della calcografia internazionale, costantemente aggiornato sulle tendenze contemporanee per subirne a tratti l’influenza ma anche per discostarsene e ribadire le proprie scelte in campo artistico. È un panorama vivacissimo di rapporti di solidarietà tra artisti, ma anche tra artisti e critici, che tengono informato Prencipe durante i periodi lontani da Roma, si impegnano per sostenere il suo lavoro attraverso esposizioni e riconoscimenti, lo consigliano, intrecciano confronti sinceri e scambi di opere.
Questa forma di carteggi si fa invece più rarefatta dopo gli anni Quaranta, parallelamente a quanto avviene con l’attività espositiva, mentre Prencipe intensifica il lavoro ad incisione a fronte di una pittura più concentrata su nature morte. Inizia un periodo vissuto più in disparte, che risente dell’affermarsi delle correnti astrattiste e del minore spazio per un’arte di carattere figurativo. Il sentimento di incomprensione e il relativo ripiegamento in una dimensione più intima sono documentate dalle lettere di questo periodo ad amici e familiari.
Le ultime lettere del fondo offrono l’immagine dell’anziano studioso che non rinuncia mai a mettere il suo sapere a disposizione degli amici e dei colleghi più giovani.
Umberto Prencipe, Dalla città del silenzio, 1906
In una lettera Hermanin, l’amico di una vita, lo ritrae così partendo proprio dall’opera Clausura: “Ricordo, come fosse ieri, eppure sono passati molti anni, quando fra i dipinti (…) nelle sale della Galleria Nazionale d’arte moderna a Roma il mio sguardo si fermò su di un quadro di paesaggio, dove era dipinto un muro bianco con al di là un folto di alberi e al di qua un prato leggermente arso dal sole, ma si rifletteva pallido nel bianco del muro. (…) Sentii di essere di fronte all’opera di un artista squisito ed eccezionale per finissima sensibilità. Il quadro era di un allora giovane pittore napoletano, Umberto Prencipe. Eravamo nell’anno 1909 ed io, invitato dalla grande rivista Zeitschrift für bildende Kunst a scrivere di qualche giovane artista italiano, fra i migliori scelsi di parlare del pittore del muro misterioso, ch’era un giovane pallido dal volto pensoso, dallo sguardo placido ma sempre un poco triste e come perduto in fantasie intessute di malinconia. Tale egli è rimasto durante tutta la sua vita, sempre innamorato di bellezze naturali vivificate da ricordi di vicende umane (…) ed in tutto la voce di un grande spirito poetico”.
Una seconda e consistente parte del fondo è composta da carte e documenti riguardanti la sua intensa attività artistica e lavorativa: le partecipazioni all’Esposizione Internazionale del 1911, alle Biennali di Venezia e di Roma, alla Quadriennale del 1935, le numerosissime mostre collettive e personali, tenute in diversi paesi europei e nel mondo, i tanti premi ricevuti, le lettere relative ad incarichi e cattedre di insegnamento, che ne testimoniano la costante produzione artistica nonché il riconoscimento su territorio nazionale e internazionale, come la nomina a membro dell’Accademia di San Luca.
Un’ulteriore serie contiene i suoi documenti personali, gli attestati, i cataloghi, qualche ricordo familiare, e ancora ricevute, poesie, vari articoli di rassegna stampa. Interessanti le citazioni letterarie e le sue riflessioni sull’arte affidate a biglietti, come queste parole: “Vi è un limite sottile, oltre il quale l’uomo deve staccarsi dal sogno e dal gioco, per procedere in una terra ignota che non sopporta nessuna compagnia. Là l’aria è limpida e gelida come sul ghiacciaio, e là si creano le opere che sopravvivono al nome dell’uomo. La solitudine non è soltanto una parola poetica, è una risoluzione, e non ritorna più una volta respinta”.