Il 25 Marzo, data che gli studiosi individuano come inizio del viaggio ultraterreno della Divina Commedia, si celebrerà per la prima volta il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri. La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea partecipa con approfondimenti sugli artisti Duilio Cambellotti e Cosroe Dusi.
Duilio Cambellotti
Duilio Cambellotti, Cerbero (dalla Divina Commedia, Inferno)
Nella produzione di Duilio Cambellotti l’importante ruolo ricoperto dall’illustrazione trae origine dall’attività giovanile di grafico pubblicitario, svolta, in parallelo con quella di designer, per ditte francesi, tedesche e romane, coniugando influssi Jugend e avanguardia monacense, arte sacra, oltre che una vera ossessione per la Roma classica, Michelangelo, la campagna romana.
Duilio Cambellotti, Ulisse (dalla Divina Commedia, Inferno)
Dal 1898 l’artista frequenta Alessandro Marcucci, educatore e intellettuale, e la sua cerchia di amici (tra i quali Giacomo Balla); per il centenario della venuta di Dante a Roma, nel 1900, il gruppo decide di unirsi alle manifestazioni dilaganti in città: “… dappertutto si tenevano letture, si facevano conferenze e commemorazioni: volemmo anche noi fare qualcosa. Il mio buon amico Alessandro Marcucci … pensò di organizzare una serie di letture … venne molta folla ogni sera nella sala affittata in via Campomarzio, ed io ebbi l’incarico della dimostrazione grafica” (D.Cambellotti, in M.Quesada, Duilio Cambellotti scultore e l’Agro Pontino, Latina 1984).
Duilio Cambellotti, Farinata degli Uberti (dalla Divina Commedia, Inferno)
L’anno successivo, sulla spinta di tale lavoro preparatorio, e potendo contare su una cospicua serie di studi, partecipa al concorso per la Divina Commedia bandito dal Cavalier Vittorio Alinari di Firenze, che prevede l’illustrazione di due canti dell’Inferno, due testate e due finali. Tra i disegni in concorso, il carboncino su Farinata, eresiarca ghibellino del VI cerchio celebre per la famosa profezia sull’esilio di Dante da Firenze in seguito alla disfatta guelfa, è senz’altro una delle tavole più celebri e monumentali tra tutte: Cambellotti produce infatti un corpus di undici tavole, dieci testate e tre finali per le tre cantiche, assicurandosi la vittoria con Natale Faorzi, Armando Spadini e Alberto Zardo, ed esponendo le illustrazioni nel 1902 nella sezione del bianco e nero alla LXXII Esposizione degli Amatori e Cultori di Roma. Per un’idea dell’importanza di tale iniziativa, al concorso prendono parte artisti come Bargellini, Sartorio, Martini, Chini, De Carolis e molti altri.
Duilio Cambellotti, Con l'ale aperte e sovra i piè leggero (dalla Divina Commedia, Inferno)
Punto di forza dell’interpretazione cambellottiana di Dante è l’innato senso scultoreo e scenografico delle tavole a carboncino, esemplificato dalle imponenti e tragiche ambientazioni di un inferno scabro incandescente e sulfureo i cui personaggi risentono la lezione dell’energico “scatto” plastico e lineare innescato dalla grafica di Otto Greiner, ma, maggiormente, l’essenziale concezione del “dolore” emanante dalle visioni d’oltretomba, come scrive lo stesso artista: “questa testata per il canto del conte Ugolino …non reca che un teschio emergente dal masso, un teschio che ha un’espressione di dolore cupo …esprime la fissità del dolore, del dolore eterno … credo di avere sintetizzato l’atrocità indefinibile della tragedia ricordata dal poeta (….)”.
Nel 1982 la Galleria Nazionale acquista dagli eredi di Duilio, Lucio e Adriano, otto illustrazioni sull’Inferno, che si aggiungono al celebre bronzo Conca dei bufali esposto alla Mostra dell’Agro Romano del 1911 sempre presso la Galleria Nazionale, e acquistato nel 1976.
Marcella Cossu
Storica dell'arte della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea
Cosroe Dusi
Alla fine del V Canto dell’Inferno Dante incontra, nella cerchia dei lussuriosi, Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, amanti destinati a entrare nell’immaginario popolare dell’Ottocento grazie a dipinti, incisioni, opere liriche e teatrali – come la tragedia di Silvio Pellico, rappresentata a Milano nel 1815 – fino ai primi cortometraggi muti dell’inizio del XX secolo.
Cosroe Dusi, Paolo e Francesca
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
L’olio su tela del veneto Cosroe Dusi (Venezia 1808 – Marostica 1859) coglie la coppia nell’istante della lettura: forse di quel romanzo di Chrétien de Troyes, Lancelot ou le Chevalier à la charrette, che narrava l’amore cortese e adultero di uno dei cavalieri del ciclo arturiano per la regina Ginevra. Già nel 1814, all’interno di un dipinto di piccolo formato, conservato al Musée Condé di Chantilly, Jean-Auguste Dominique Ingres, conformemente al poema dantesco (Inferno V, 133-138), aveva condensato i due momenti della vicenda degli amanti: ovvero quello della lettura del libro, causa del loro amore, e quello della loro morte, preannunciata dalla figura che spia la coppia da una porta semiaperta sullo sfondo.
Dusi invece, alla fine del terzo decennio dell’Ottocento e forse proprio in prossimità delle nozze, nel 1831, con la figlia dello scultore Bartolomeo Ferrari, si limita a presentare Paolo e Francesca nello spazio intimo di un interno dagli arredi sapientemente reinterpretati, secondo un gusto neogotico e con una attenzione da miniaturista, in sintonia con la pittura troubadour diffusa Oltr’Alpe. Rispetto al dipinto di Ingres, egli inverte la posizione dei due amanti, mantenendo per la figura di Paolo Malatesta la divaricazione delle gambe, pur priva ormai della tensione fisica ed emotiva presente nel celebre modello.
Poco margine infatti è lasciato, nella tela, all’espressione del dramma umano dei due amanti che il celebre verso dantesco – “quel giorno più non vi leggemmo avante” – aveva eloquentemente voluto tacere. Allo stesso modo, Dusi si limita a raggelare lo slancio sentimentale di Paolo nel gesto delle mani della coppia, mentre gli occhi abbassati di Francesca e la sua postura composta, al pari delle pieghe del suo raffinatissimo costume, non riescono a suggerire la veemenza di una passione adultera.