Può una mostra aiutarci a riflettere sul collasso ambientale, l’esaurimento delle risorse, la crisi delle forme di vita occidentali e delle sue istituzioni e contribuire a ricollocare la nostra posizione di umani nei confronti del pianeta sul quale viviamo in un’epoca che per alcuni è diventata quella geologica dell’Antropocene?
La domanda è retorica: l’arte non è nuova alla denuncia delle crisi che il mondo attraversa.
Ma può una mostra aiutarci a pensare un presente e un futuro nel quale homo sapiens sapiens è chiamato, oltre che a rendere conto delle devastazioni delle quali è portatore, a ricollocare se stesso in relazione agli altri viventi? In un mondo nel quale dai vegetali si possono ricavare lezioni di etica e politica, osservare le soglie della vita e imparare a vedere il vivente anche dove il nostro sguardo proietta una materia inerte, pensare se stessi a partire dalle metamorfosi e dalla mescolanza piuttosto che dall’identità… In un mondo nel quale all’umano spetta di fare quanto ha sempre fatto ogni volta che un mondo, anche il suo, è giunto al termine: ricominciare sempre daccapo, oggi a partire da un’idea di natura nella quale la sua presenza può situarsi in continuità con quella degli altri viventi dello stesso pianeta.
Questa è la scommessa di una mostra che nel vivere tra le rovine vede un paradigma della condizione presente da rovesciare in un’occasione. Perché le rovine tra le quali viviamo sono sì quelle delle civiltà industriali e del saccheggio, della predazione di un capitalismo che lascia al proprio passaggio macerie e rifiuti, ma anche quelle tra le quali la vita ibrida di vegetali, animali e umani, torna ostinata a proliferare indicando le strade di altri mondi possibili. Perché da sempre la vita si dispiega tra le rovine dei mondi precedenti, in un processo continuo nel quale ciò che finisce è anche ciò che inizia.
Cogliere l’ambivalenza tra un mondo in fine e un mondo infine significa imparare a collocarsi sulla soglia della trasformazione continua, in un divenire nel quale non vi saranno ordini precedenti da ripristinare, condizioni mancanti da colmare, templi da ricostruire, e si smetterà di guardare al passato come a quell’integrità che il presente erode e al futuro come ciò che al presente manca.
Interrogare l’arte contemporanea e la sua capacità di stare su questa soglia, insieme alla presenza di oggetti provenienti da mondi in fine, significa tornare ad attribuire all’arte, tra tutte le tecniche umane, la capacità privilegiata di saper fare mondo.
Con gli elaborati sonori di: Belle Poudre (Dirk Bell/Reto Pulfer), Sam Conran, Milli Graffi, Francis Heery, Petri Kuljuntausta, Yoko Ono/Plastic Ono Band, High Priest, Matteo Polato, Aimée Portioli, Jani Anders Purhonen, Pietro Lussu e Alice Ricciardi, Stefan Schleupner, Luca Vitone (Soundwundertunnel a cura di Eva Macali).
La mostra
Si compone di un allestimento di opere di artisti inserite in una catena significante completata dal lavoro curatoriale attraverso oggetti di statuto diverso dall’arte contemporanea. L’insieme è volto a interrogare la continua creazione e crisi della capacità di fare mondo espressa tanto dall’arte quanto dal complesso delle prassi umane, siano esse di ambito tecnico, rituale, scientifico, culturale o estetico.
I temi
Geografi, architetti, filosofi, antropologi, vulcanologi, botanici, metereologi, archeologi, storici, fisici sono invitati a prendere parte a una serie di incontri seminariali, dibattiti, presentazioni che accompagna la mostra dal 13 dicembre al 23 gennaio articolata su alcuni nuclei tematici: le origini del mondo; la vita e le sue metamorfosi; Antropocene; le ecologie; le metafisiche della mescolanza; organico e inorganico; mondanità e vita tra le rovine.
Le performance
Eventi performativi ed esecuzioni live scandiscono la durata della mostra con proiezioni di film, concerti, uno spettacolo teatrale, un coro, letture botaniche e alcune performance affidate a danzatori e artisti.
Il Soundwundertunnel
La camera delle meraviglie in questa mostra prende la forma di un’installazione sonora della lunghezza di un tunnel di 13 metri. La plastica del suono, che nelle composizioni degli artisti invitati si arresta sulla soglia della musica e della parola, ripercorre i temi della nascita, della fine, della metamorfosi attraverso l’architettura e il disegno del suono.
Acura di Ilaria Bussoni, Simone Ferrari, Donatello Fumarola, Eva Macali e Serena Soccio
Da un progetto di Ilaria Bussoni